Il 27 aprile è stata approvata la delibera che mette le basi della food policy di Roma Capitale. Non un progetto calato dall’alto, come è avvenuto in molte città metropolitane, ma una food policy che è il risultato di un percorso partecipativo che ha raccolto il contributo di movimenti, associazioni, reti, ma anche di esperti del mondo accademico da riunire all’interno di un organo democratico come il Consiglio del Cibo. La delibera, infatti, istituisce una consulta cittadina del cibo e impegna la giunta a redigere entro tre mesi un proprio Piano del Cibo, cioè un documento strategico che ‘definisce la visione, i principi e le linee guida da seguire nei processi decisionali e nelle pratiche, e che traccia gli orientamenti e le azioni concrete necessarie a garantire a tutti i cittadini di Roma Capitale l’accesso a cibo sano, nutriente, ecologicamente ed eticamente sostenibile .
Abbiamo voluto ricostruire questo percorso, iniziato nel 2019 che ha portato ad un risultato straordinario grazie alla forza e coesione di un Comitato promotore nato solo due anni fa. E’ stato il professore di economia, Davide Marino, che conosce bene Roma, le sue peculiarità, ma anche i modelli di food policy nel mondo a lanciare questa idea. Oltre alla competenza, il prof. Marino ha avuto la capacità di coagulare intorno alla sua visione tante persone, tra cui Salvatore Stingo, l’inventore dell’agricoltura sociale in Italia e Presidente della cooperativa Capodarco, attivista all’interno del Comitato promotore della food policy. Li abbiamo intervistati entrambi per capire meglio cos’è una food policy, perché è importante che Roma abbia la sua politica del cibo partecipata e quali prospettive si svilupperanno a breve a partire dalla delibera.
Tra le tante difficoltà, il Covid19 lascia un’Italia più affamata di prima. L’Emporio Solidale di Pescia nasce proprio per fornire aiuti alimentari alle famiglie più in difficoltà.
La situazione dipinta dal Rapporto “La pandemia che affama l’Italia. Covid-19, povertà alimentare e diritto al cibo” di ActionAid non è rosea. Il lockdown ha portato molte famiglie verso una situazione di povertà alimentare grave. Famiglie con minori, donne e giovani precari sono più esposti al problema dell’approvvigionamento di un cibo sano, nutriente e sufficiente. Molte persone non consumano abbastanza oppure hanno una dieta monotona, mangiando pochissima frutta, verdura e proteine nobili. La perdita del lavoro di intere famiglie è la causa scatenante. Rispetto al 2019, si parla di quasi un 50% in più di famiglie a rischio povertà, compresa quella alimentare.
Anche nei piccoli territori il cambiamento si è fatto sentire. Aumentano le richieste per l’erogazione dei buoni spesa e le file davanti ai punti di distribuzione di generi alimentari sono sempre più lunghe.
Sono sempre di più però anche le iniziative territoriali di solidarietà alimentare. Tra queste, una menzione speciale va agli empori solidali, dei veri e propri “supermercati” che sostengono le famiglie in difficoltà, offrendo gratuitamente generi alimentari a famiglie in stato di povertà.
L’Emporio Solidale di Pescia
Anche a Pescia, in Provincia di Pistoia, le associazioni del territorio hanno dato vita al loro Emporio Solidale. Caritas diocesana, Croce Rossa Italiana, Pubblica Assistenza con il supporto del Comune, hanno creato un unico spazio di distribuzione di aiuti alimentari, strutturandolo come un vero e proprio piccolo supermercato, che accetta i buoni spesa dalle famiglie in difficoltà.
L’idea era in cantiere da tempo. La frammentazione delle realtà del territorio che si occupavano di aiuti alimentari rendeva necessario un coordinamento unico. Le forti richieste causate dalla pandemia poi, hanno portato le tre associazioni ad unirsi, mosse da un intento comune: la solidarietà alimentare.
La struttura che ricorda un supermercato è una scelta voluta. L’Emporio Solidale è infatti anche un tentativo di reinserimento sociale delle classi fragili. L’obiettivo è quello di trasformare la consegna dei generi alimentari, attività da sempre portata avanti da tutte le associazioni, nella possibilità di fare una spesa vera e propria. Le famiglie, avranno infatti a disposizione una card a punti, ricaricabile ogni mese, con la quale potranno “pagare” i prodotti dell’emporio. In questo modo, dovranno abituarsi a gestire responsabilmente i punti mensili e avranno la dignità di poter vivere una spesa più normale. La possibilità di accedere all’Emporio Solidale è coordinata e valutata dagli assistenti sociali della Società della Salute e dai quattro attori coinvolti. Un tavolo di coordinamento territoriale si riunirà ogni tre mesi, per monitorare le famiglie interessate o accoglierne di nuove.
Le associazioni hanno seguito la creazione e l’organizzazione dei volontari. Il Comune di Pescia invece, ha contribuito all’affitto dei locali e si impegna a implementare le realtà coinvolte nelle donazioni di cibo. Oltre agli aiuti alimentari europei FEAD, a Banco Alimentare, al programma Siticibo e alle donazioni di privati, le aziende avranno infatti un altro motivo per aderire all’iniziativa. Il Sindaco di Pescia ha predisposto uno sconto sulla TARI alle aziende che donano all’Emporio Solidale il cibo destinato a essere sprecato.
L’Emporio e gli obiettivi futuri
Le attività dell’Emporio Solidale però, non si fermano qui. Le associazioni contano a breve di offrire anche i consigli di una nutrizionista, per aiutare le famiglie, spesso straniere, a conoscere e usare i prodotti alimentari locali, oltre che a fornire consigli per una dieta corretta. Attività di formazione e corsi di agricoltura poi, sono le possibili prospettive future.Non solo aiuti dunque. Lo scopo dell’Emporio Solidale di Pescia è creare più consapevolezza sulle scelte alimentari, sfruttando il cibo anche come strumento di inclusione sociale. L’Emporio Solidale è un esempio di come la cooperazione può dar vita a progetti solidali importanti. Un modo comune per combattere la povertà alimentare e supportare i cittadini nella costruzione di una società più inclusiva: da difficoltà, il cibo diventa sinonimo di aiuto e rinascita.
Non potevamo rimanere con le mani in mano! Anche a Trento, così come in tantissime altre città italiane, durante il periodo di lockdown stavano nascendo molte iniziative spontanee di acquisto e vendita diretta di prodotti ortofrutticoli locali. Qualcosa che “naturalmente” stava procedendo nella direzione di ciò che il progetto aveva in animo sin dall’inizio di sollecitare. Infatti, la vendita diretta “porta a porta” riconnetteva produttori e consumatori anche in un’ottica di sostegno solidale. Come poteva il nostro progetto – attivo dal 2017 – sostenere queste iniziative, aiutandole a diffondersi e ad intercettare non soltanto i cittadini già attivi (ad esempio nei gruppi GAS), ma chi fino ad ora era rimasto distante da questo mondo e da queste pratiche di “consumo critico”? Nel tentativo di sostenere queste esperienze positive prodotte dall’emergenza sanitaria da Covid-19, il Tavolo di Nutrire Trento ha ideato Nutrire Trento #Fase2, un’iniziativa volta a creare una rete di consegna a domicilio di prodotti agricoli.
Il Tavolo rappresenta il contesto in cui – grazie ad una iniziativa promossa dal Comune di Trento, l’Università di Trento che apre alla partecipazione di tutti gli attori della “filiera del cibo”- emergono idee che hanno l’obiettivo di indirizzare la definizione di una Politica Locale del Cibo, seguendo le linee del Milan Urban Food Policy Pact che il Comune di Trento ha firmato nel 2019. Il progetto Nutrire Trento, oltre ad aver costruito una piattaforma online in cui sono mappati gli attori locali, ha obiettivi ambiziosi. Vuole essere nel contempo un progetto politico, culturale e economico, nel senso che si pone l’obiettivo di sensibilizzare ad una produzione e consumo più sostenibile, di avvicinare produttori e consumatori, città e campagna, promuovendo una governance partecipata del cibo al fine di stimolare una politica più attenta alla salute delle persone e dell’ambiente, nonché capace di promuovere l’economia virtuosa.
Durante il lockdown, il Tavolo ha continuato a riunirsi in forma virtuale. Durante le riunioni che ovviamente prendevano atto della situazione contingente, è sorta la volontà di fare qualcosa per affrontare il momento di crisi, dando visibilità agli attori e alle iniziative che avvicinavano produttori e consumatori. L’idea è stata anche quella di analizzare le dinamiche che stavano generando nuove pratiche, per comprenderle meglio e aiutarle nel loro sviluppo. Grazie alla collaborazione di 82 famiglie iscritte (68 effettivamente partecipanti) e 15 produttori, si è cercato di approfondire la sostenibilità – ambientale ed economica – di quanto spontaneamente si stava sviluppando attraverso una ricerca abbinata ad un reale sostegno alle iniziative di consegna a domicilio.
Per nove settimane, dalla metà di maggio, è stata organizzata una “piattaforma umana” che aiutasse l’incontro tra domanda di prodotti agricoli locali con l’offerta, ovvero chi li produceva. Dopo qualche settimana, il progetto ha creato anche un blog per raccontare l’esperienza in atto e per favorire il trasferimento di informazioni tra produttori e consumatori in modo da facilitare maggiormente l’incontro e il dialogo. Sono stati affrontati temi riguardanti la produzione sostenibile di cibo. Tramite delle video-interviste ai produttori e ad articoli di carattere divulgativo si è cercato di trasferire le esperienze di chi il cibo lo produce.
La partecipazione all’iniziativa nella prima settimana è stata anche più alta delle aspettative. Con la progressiva riduzione delle misure di contenimento e la ripresa dei ritmi di vita normali, tuttavia, si è assistito ad una graduale riduzione del numero di ordini. Ciò che è rimasto stabile nel tempo è stato invece l’entusiasmo delle famiglie, che nonostante in alcuni casi non siano riuscite – per varie ragioni – a partecipare agli ordini, hanno comunque dimostrato un crescente interesse ad immaginare insieme un progetto che possa portare sulle loro tavole prodotti di buona qualità, ecologicamente sostenibili e dalla provenienza certa. Dai loro suggerimenti è emersa grande domanda di prodotto fresco.
La ricerca ha altresì evidenziato una difficoltà a raggiungere il quantitativo minimo di spesa richiesto dai produttori per rendere economicamente sostenibile lo spostamento per la consegna e la difficoltà a ricevere consegne in orari diversi. Dal canto loro i produttori hanno sentito il bisogno di riflettere su un’organizzazione comune delle consegne, e alcuni di loro si sono resi disponibili a cominciare un ragionamento di pianificazione delle semine e delle produzioni per andare incontro ai bisogni delle famiglie della città.
Tutto questo è stato raccontato in questo video preparato per partecipare ai #MilanPactAward 2020.
…Verso Nutrire Trento #fase3?
Grazie alla raccolta dati effettuata tramite i questionari somministrati a produttori e famiglie, è stato dunque possibile comprendere le difficoltà riscontrate, ma anche immaginare possibili sviluppi del progetto #Fase2.
L’interesse all’acquisto di prodotti sani, locali e sostenibili che ha stimolato l’aumento delle consegne a domicilio e degli acquisti diretti presso produttori locali e negozi di vicinato ha messo in evidenza come i partecipanti:
hanno dichiarato di aver diminuito sostanzialmente gli acquisti presso discount, supermercati e ipermercati.
hanno modificato la tipologia di prodotti confermando l’interesse verso i prodotti freschi e locali, cosa che ha garantito un aumento considerevole degli acquisti di prodotti biologici e del territorio.
Secondo le dichiarazioni dei rispondenti, le persone coinvolte nel progetto #Fase2 hanno anche consumato meno frequentemente rispetto al solito prodotti surgelati e preconfezionati.
Confermando la tendenza emersa anche da altri studi svolti durante il periodo del primo lockdown, è aumentato anche il tempo dedicato alla preparazione dei pasti e, soprattutto, è aumentata la programmazione degli stessi. Questo ha permesso una diminuzione sostanziale degli sprechi alimentari (Andreola e Forno, 2020).
Dalla sperimentazione sono, quindi, emersi segnali importanti su queste modalità alternative alla grande distribuzione organizzata. Per questo motivo il Tavolo di Nutrire Trento ha iniziato a pensare ad una #Fase3 che al momento sta prendendo in considerazione tre possibili avanzamenti dove peraltro sono evidenti le convergenze:
la creazione di una piattaforma digitale, attraverso il progetto CROWNFOOD: reti alimentari sostenibili e piattaforme digitali oltre il Covid-19. Questo progetto, che ha vinto un bando dell’Ateneo di Trento si pone l’obiettivo di “sviluppare, implementare, testare e validare una piattaforma digitale a supporto alle reti alimentari sostenibili che permetta di proporre diverse soluzioni alternative per mettere in contatto diretto produttori e consumatori di prodotti alimentari, anche locali, con un approccio innovativo, dinamico ma sostenibile”.
la nascita di una Community Supported Agriculture (CSA), progetto proposto dagli agricoltori che hanno partecipato al progetto e che ora stanno cercando di realizzare con il supporto di altri attori del Tavolo Nutrire Trento. La piattaforma di cui sopra, viene vista in quest’ottica un possibile strumento a supporto della CSA stessa.
l’avvio di un negozio locale, Tuttoverde, che si è proposto come hub di raccolta e distribuzione dei prodotti agricoli. Questa auto-candidatura potrebbe essere sia uno strumento di transizione, nel frattempo che la CSA prenda vita, sia un’alternativa alla CSA stessa per i cittadini che non intenderanno prenderne parte.
Il Tavolo, nonostante le difficoltà legate al particolare momento storico in cui stiamo vivendo, non sta smettendo di sognare e pensare ad altre piccole progettualità che permettano di promuovere la creazione di una rete del cibo solidale, sostenibile e che valorizzi i prodotti locali, per ridisegnare tutti insieme la geografia del cibo a Trento.
Il gruppo di lavoro di Nutrire Trento #Fase 2:
Responsabili scientifici
Paola Fontana, Responsabile progetto NT, capoufficio servizio agricoltura, Comune di Trento
Francesca Forno, Responsabile progetto NT, sociologa, Università degli studi di Trento
Coordinatori
Mattia Andreola, Sociologo, L.M. in Sociologia e ricerca sociale, Università degli Studi di Trento
Anna Brugnolli, Educatrice, L.M. in Lavoro, cittadinanza sociale e Interculturalità, Università Ca’ Foscari di Venezia
Giacomo Oxoli, Stagista e laureando in Sociologia – L.T. PeIS (Progettazione e Innovazione Sociale), Università degli studi di Trento
Angelica Pianegonda, Assegnista di ricerca, L.M. in Ingegneria Edile – Architettura, Università degli studi di Trento
Comitato tecnico scientifico
Michela Angeli, esperta di comunicazione, Fondazione Mach
Da quando lo spettacolo teatrale “Foodification- Come il cibo si è mangiato la città” è nato, nel 2017, la parola “Foodification” è diventata centrale nei dibattiti critici intorno alle trasformazioni urbane legate al cibo a Torino. Il neologismo “foodification” unisce le parole “food” e “gentrification” e corrisponde, quindi, a quello che nella letteratura scientifica viene definito come “food gentrification”, ovvero la gentrificazione dello spazio urbano tramite il cibo, i suoi spazi e il suo consumo. Nel processo di “food gentrification”, lo spazio commerciale di un quartiere cambia attraverso il cibo ed è questo stesso cambiamento che prepara, favorisce e contribuisce a un cambiamento più ampio dello spazio residenziale del quartiere, dal quale residenti che appartengono a delle categorie socioeconomiche deboli vengono esclusi e dislocati.
Allora, se la gentrification in generale corrisponde a esclusione e dislocazione, in che modo il cibo può contribuire a queste dinamiche? E può un elemento così quotidiano, basico, magari anche banale, escludere e dislocare? La risposta è sì, perché nella food gentrification non è il cibo di per sé ad esercitare un impatto così significativo ma lo sono invece certi tipi di cibo e certi spazi dedicati al consumo di quei cibi. Insomma, la food gentrification ha luogo sulla base di una ricostruzione sia del cibo che dei suoi spazi: il cibo “biologico”, “locale”, “etico”, “autentico” e “artigianale” non può consumarsi ovunque; al contrario, richiede certi spazi come piccole botteghe, ristoranti di nicchia e mercati di artigiani. Il consumare questo cibo in questi spazi prevede, mantiene, riproduce, e dimostra il possesso di tre forme di capitale: economico, culturale, e culinario. L’ultimo riguarda l’apprezzamento di una certa estetica intorno al cibo, un’estetica diversa da quella che caratterizza il consumo di massa. L’incrocio di queste tre forme di capitale nello spazio performa esclusione per chi non lo possiede; lo spazio acquisisce quindi significati nuovi, specifici, in ultima istanza escludenti. E l’esclusione di chi ci abitava o consumava già in questo spazio può diventare dislocazione sia diretta che indiretta.
Questo breve testo presenta l’esperienza di Porta Palazzo a Torino come un caso empirico delle suddette dinamiche che oramai sono globali, e pone la domanda: attraverso quali mezzi la foodification si svolge nel quartiere, cambiando il paesaggio commerciale in modi potenzialmente escludenti e dislocanti? Porta Palazzo è diventata il luogo emblematico della foodification torinese soprattutto dopo l’arrivo del Mercato Centrale nel cuore del mercato all’aperto di Piazza della Repubblica, nel 2019. Infatti, grazie alla visibilità sia della sua struttura fisica (l’edificio cosiddetto Palafuksas) che del marchio in sé, Mercato Centrale ha segnato, nella maniera più evidente, il territorio locale con un tipo di consumo di cibo percepito come estraneo, ma spesso anche alienante ed opposto, rispetto a quello che tradizionalmente apparteneva al mercato di Porta Palazzo. Ciò nondimeno, nella foodification vengono coinvolti certi elementi che vanno oltre il Mercato Centrale e che riguardano altri spazi, meno visibili ma perciò potenti nel mutamento dello spazio commerciale. In particolare, due elementi contribuiscono a questo processo: la materialità, e le pratiche. Attraverso questi e la loro interrelazione, il cibo acquista delle proprietà che possono escludere e dislocare. Perché attraverso questa materialità e queste pratiche emergenti, il cibo viene ridefinito; non è più semplicemente “cibo”, e non è per chiunque.
La materialità della foodification comprende oggetti nuovi che mediano la produzione e il consumo di cibo, mutandone il significato. Macchine legate alla produzione di alimenti come mulini, schermi che proiettano la coltivazione di cereali, barattoli con diversi tipi di terreno in esposizione, o la riproduzione di una camera di stagionatura in legno non processato, sono elementi fisici che portano la produzione dentro uno spazio di consumo. Attraverso cartelli, gli alimentari venduti diventano prodotti firmati, che appartengono a delle personalità significanti. Elementi della funzione precedente di un locale vengono mantenuti ed enfatizzati come simboli di collegamento col passato, di storicità. Le materie prime di un piatto non necessariamente “tipico italiano” vengono scelte con cautela e provengono esclusivamente dall’Italia per preservare una percepita “italianità” del cibo. In tutta questa economia materiale e visuale, il cibo viene ricostruito come “artigianale”, “locale”, “biologico”, “etico”, infine distinto dal cibo che occupa la maggior parte del mercato di Porta Palazzo.
Assieme a una nuova materialità culinaria, la foodification introduce anche nuove pratiche di consumo di cibo. Oltre che pratiche di consumo precedentemente assenti a Porta Palazzo e che mostrano uno status economico-sociale elevato, come nel caso del brunch, si tratta principalmente di pratiche legate alla conoscenza culinaria: della provenienza, della qualità, della produzione di ciò che si ingerisce. L’acquisto di un certo tipo di farina implica anche il praticare la macinatura dei cereali che diventano farina. Il prendere un caffè al nuovo bar della piazza implica anche una sorta di “esibizione” da parte del barista, che si dilunga in spiegazioni sulle proprietà dei vari tipi di caffè disponibili, e sulla loro provenienza. “Siamo venuti qua (a Porta Palazzo) per istruire la gente”, ha detto la barista di un nuovo fusion bar appena aperto nella piazza. Attraverso queste pratiche, il cibo non è semplicemente consumato; è ricostruito come qualcosa da conoscere, da padroneggiare, da mostrare.
Dunque, tramite la materialità e le pratiche, la foodification plasma lo spazio commerciale del quartiere in modo da creare uno spazio nel quale si può consumare una nuova categoria di cibo: un cibo distinto, diverso e che differenzia. La creazione di questo spazio nuovo viene favorita da alcune iniziative istituzionali che, negli ultimi anni, stanno provando a ridefinire la città di Torino come una città di e per un cibo in vari modi distinto. I discorsi attorno, ad esempio, a Slow Food e alla Capitale del Gusto, ora vengono concretizzati a Porta Palazzo dalla materialità e le pratiche introdotte dalla foodification, che interessa sia la scala del quartiere che quella della città intera. La foodification è la materializzazione di uno spazio sempre più ampio dedicato al cibo distinto. E l’accesso al consumo di questo cibo, ovvero l’accesso agli spazi dedicati al consumo di questo, è una questione di privilegio: consumatori e consumatrici che non possiedono il capitale necessario (economico, culturale e, alla fine, culinario) vengono esclusi ed escluse dietro l’etichetta di cibo variamente detto “di qualità”. Nessuno/a può accusare un cibo “locale”, “autentico”, “organico”, “etico”. E se qualcuno/a lo può, forse bisognerebbe dislocarsi dal quartiere.
Panos Bourlessas è assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Culture, Politiche e Società, Università di Torino
Cenere Samantha è assegnista di ricerca presso il Dipartimento Interateneo di Scienze, Progetto e Politiche del Territorio, Politecnico e Università di Torino
Il progetto FoodE (Food Systems in European Cities, www.foode.eu), avviatosi nel Febbraio del 2020 e finanziato dalla Commissione Europea nell’ambito del bando H2020-SFS-24 “Innovative and citizen-driven food system approaches in cities“, è un progetto quadriennale coordinato dal Prof. Francesco Orsini (Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agrarie e Alimentari dell’Università di Bologna).
Il consorzio del progetto comprende 24 partner (tra cui università, amministrazioni comunali, PMI e organizzazioni di produttori) provenienti da 8 differenti nazioni Europee (Italia, Germania, Olanda, Francia, Spagna, Slovenia, Norvegia e Romania).
L’obiettivo del progetto è quello di favorire la creazione di sistemi alimentari urbani partecipati, riunendo iniziative locali da tutta Europa e co-sviluppando e diffondendo una serie di strumenti – in collaborazione con il mondo accademico, i cittadini e le start-up del sistema alimentare – per garantire l’applicazione delle conoscenze intersettoriali più aggiornate.
La sfida principale del progetto FoodE è quindi quella di aggregare i modelli più sostenibili di sistemi alimentari nel contesto città-regione (City-Region Food Systems o CRFS) e consentire la co-progettazione di esperienze pilota innovative, promuovendo la salute e il benessere dei cittadini europei.
Questa sfida sarà affrontata avviando un processo di co-progettazione, basato sui principi della Citizen Science e della Ricerca e Innovazione Responsabile, in cui autorità pubbliche, cittadini, principali attori economici e organizzazioni no-profit condivideranno idee, strumenti, buone pratiche e nuovi modelli, sostenendo le città nel diventare centri per l’innovazione dei sistemi alimentari.
I risultati del progetto avranno impatto economico e sociale tramite la creazione di posti di lavoro, la promozione dell’economia locale, il rafforzamento del ruolo delle comunità locali nel rispetto degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, così come l’identificazione e il rafforzamento delle relazioni tra i diversi attori della filiera alimentare.
Per raggiungere questi risultati sono state previste diverse fasi:
La prima ha come obiettivo la definizione di una metodologia per l’analisi della sostenibilità e la conseguente classificazione delle diverse tipologie di sistemi alimentari urbani. Per fare ciò è stato creato un vasto inventario di CRFS a livello europeo, dei quali è in corso la valutazione della sostenibilità economica, sociale ed ambientale.
La seconda fase ha invece come obiettivo la promozione di azioni di interazione tra i diversi CRFS. A tal fine è in corso la creazione di un’app per la valutazione ed il monitoraggio dei CRFS da parte degli stessi cittadini che li frequentano. Il progetto prevedeva in questa fase attività di sensibilizzazione e coinvolgimento di ragazzi in età scolare. Queste sono già state attivate per gli studenti della scuola secondaria, mentre sono in fase di rimodulazione per gli studenti della scuola primaria a causa dell’attuale situazione emergenziale.
Il terzo step ha come obiettivo quello di aumentare l’accesso a cibo sano e di alta qualità. Il progetto ha già infatti avviato azioni di co-progettazione per la creazione di 15 progetti pilota, dei quali tre si svilupperanno in Italia, a partire da Marzo 2021, e precisamente due nella città di Bologna e uno nella città di Napoli. Nello specifico, questi tre progetti riguarderanno la creazione di una vertical farm presso il Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agroalimentari dell’Università di Bologna con finalità didattiche e produttive, un parco alimentare urbano nella città di Napoli dove verranno realizzate delle serre produttive e un mercato contadino, e un piano di rigenerazione urbana nel quartiere Savena della città di Bologna dove verranno avviate attività di agricoltura urbana dedicate a fasce deboli della popolazione con finalità di integrazione sociale.
La quarta fase, che verrà avviata a partire da Febbraio 2022, prevede la creazione di uno strumento che mobiliti cittadini, municipalità e operatori dei CRFS nella valutazione della sostenibilità, attraverso l’identificazione di modelli d’impresa innovativi e la creazione di un apposito “marchio” che certifichi la sostenibilità dei CRFS.
Infine, l’ultima fase è la fase di promozione e diffusione dei risultati ad altre città europee. In questa fase verranno sviluppate linee guida che identificheranno i principali attori e le migliori pratiche provenienti dai progetti pilota e un manuale europeo sulla sostenibilità dei sistemi alimentari nel contesto città-regione.
Per maggiori info, si rimanda al sito web ufficiale del progetto: www.foode.eu
Torino, 17 ottobre 2020. A meno di una settimana dal World Food Day del 16 ottobre e dopo il riconoscimento del Nobel per la Pace al World Food Programme dello scorso 9 ottobre, continuano le riflessioni sul valore delle politiche del cibo, mercoledì 21 ottobre alle 17.00 con l’incontro online “Le politiche locali e urbane del cibo in Italia”, nell’ambito dell’edizione speciale di Terra Madre Salone del Gusto 2020.
Copertina del volume
Durante l’incontro sarà presentato per la prima volta il libro “Lo spazio delle politiche locali del cibo: temi, esperienze e prospettive” (Celid, 2020, collana Atlante del cibo), curato per la Rete politiche locali del cibo (Rete PLC) da Egidio Dansero (Università di Torino), Davide Marino (Università del Molise), Giampiero Mazzocchi (CREA-Politiche e Bioeconomia) e Yota Nicolarea (Università La Sapienza Roma). L’incontro si svolgerà sulla piattaforma Webex dell’Università di Torino, accessibile a questo link, e sarà trasmesso in diretta facebook sulla pagina @rete.politichelocalicibo.
Con i curatori e rappresentanti della Rete PLC interverranno in una tavola rotonda online Marta Antonelli della Fondazione Barilla; Valentino Castellani, presidente di Urban@it; l’onorevole Susanna Cenni della Commissione Agricoltura della Camera; Paolo Corbini della rete Città del vino; Marina Lauri di Anci Toscana; Marco Lucchini del Banco alimentare e Andrea Magarini della Food Policy di Milano. Insieme, gli ospiti della tavola rotonda ragioneranno sulla necessità di una politica nazionale che riconosca e valorizzi il ruolo delle politiche del cibo su scala locale.
Il volume “Lo spazio delle politiche locali del cibo: temi, esperienze e prospettive”, composto da 25 contributi, è l’esito di un lavoro avviato dalla Rete Politiche Locali del Cibo nel corso del 2019 e terminato all’inizio del 2020 e rappresenta la prima esperienza italiana di messa a sistema delle iniziative locali legate alle politiche del cibo. Ne emerge una molteplicità di modelli che il libro racconta e analizza, proponendo per la prima volta un percorso di lettura organico, partendo dalle grandi città, come Roma, passando per Milano, Torino e Genova, toccando poi centri medi (Bergamo, Pisa, Livorno, Matera e Trento), fino a quelli minori (Camaiore, le Madonie, la Piana di Lucca, la Valle del Tronto), con alcuni approfondimenti dedicati in particolare ai temi dell’economia circolare e del contrasto allo spreco alimentare.
Uno degli obiettivi di questa lettura è – come sottolineano i curatori del volume – “portare il discorso sulle politiche locali del cibo a uno status diverso, più elevato e più riconosciuto, legittimando le singole esperienze territoriali riconoscendo il tema delle politiche locali del cibo a livello nazionale, verso una maggiore presa in carico pubblica (istituzionale e civica) delle istanze sociali, ambientali ed economiche legate ai sistemi alimentari”.
La pubblicazione è stata curata prima della pandemia di Covid-19, con il pregio di andare oltre una visione emergenziale, per mostrare invece “le capacità e potenzialità delle politiche del cibo come modalità di lavoro sul tema della sostenibilità e della resilienza dei sistemi alimentari”, ancora più centrali all’insorgere di shock esterni e drastici cambiamenti di scenario come quelli che stiamo vivendo.
“Alla luce di Covid-19 emerge che le vulnerabilità e l’estrema complessità dei sistemi alimentari sono esattamente quegli aspetti cruciali che le politiche locali del cibo, e le varie declinazioni che esse assumono, intendono affrontare, studiare e analizzare”, spiegano i curatori. La pandemia ha infatti reso più evidente quanto le caratteristiche, i punti di forza e le criticità del sistema alimentare locale siano indicativi della capacità di risposta delle città alle vulnerabilità che le crisi dell’Antropocene spalancano.
Dai contributi raccolti nel libro, infatti, i curatori osservano che “le azioni più strutturate e sinergiche, le risposte più pronte ed efficaci si sono registrate in quelle città e territori che già avevano in qualche modo intrapreso la strada delle Food Policy locali, e in quei contesti dove esistono delle reti di città e territori in grado di istruire ed agevolare lo scambio di buone pratiche”. Favorire e accrescere questo scambio è il ruolo che la Rete Politiche Locali del Cibo intende portare avanti con le sue prossime attività.
Il volume “Lo spazio delle politiche locali del cibo: temi, esperienze e prospettive” è stato stampato in collaborazione con EStà, nell’ambito del progetto URBAL finanziato da Fondation Agropolis, Fondation Carasso e Fondazione Cariplo, e si potrà scaricare gratuitamente, in licenza Creative Commons, dal sito della casa editrice Celid.
Il Consiglio del Cibo di Roma, alleanza composta da ricercatori, associazioni, cooperative ed organizzazioni che lavorano sulle tematiche che ruotano intorno al Food System romano, ad un anno dalla nascita e dalla proposta di istituzionalizzare una Politica Alimentare sostenibile nel comune di Roma, chiede in occasione della Giornata Mondiale dell’Alimentazione 2020, di approvare la Delibera che darebbe avvio al processo di creazione di un Politica del Cibo a Roma, e ribadiscono alcune tematiche prioritarie di gestione del sistema alimentare romano alla luce della pandemia e dei cambiamenti climatici.
Pubblichiamo di seguito il comunicato stampa del Consiglio del Cibo di Roma.
Nella giornata mondiale dell’alimentazione, oltre 50 associazioni, aziende, docenti universitari e ricercatori chiedono l’approvazione della delibera ferma da un anno, per dotare Roma di una strategia per l’agricoltura e il cibo sostenibile
ROMA, 16 OTTOBRE 2020 – Approvare subito la delibera ancora ferma nel cassetto che istituisce una politica del cibo (Food Policy) per la città di Roma. È la richiesta rivolta all’Assemblea Capitolina da oltre 50 tra associazioni, aziende agricole, personalità del mondo accademico e della ricerca scientifica riunite nel Consiglio del Cibo di Roma. La rete, che riunisce il mondo produttivo e la società civile impegnata nella promozione e nello studio dei sistemi alimentari sostenibili, è nata il 16 ottobre dello scorso anno con il lancio di una proposta di politica del cibo che rafforzi l’agricoltura romana, le filiere corte e i mercati territoriali, riduca gli sprechi alimentari e arresti il consumo di suolo, diffonda la consapevolezza della qualità del cibo, favorisca l’accesso dei giovani alla terra, migliori la gestione delle terre pubbliche e potenzi i canali pubblici di distribuzione del cibo, dalla refezione collettiva ai mercati rionali.
“Nei dodici mesi trascorsi, le richieste del Consiglio del Cibo sono state raccolte da maggioranza e opposizione che hanno approvato nelle Commissioni Ambiente e Commercio una delibera in cui si gettano le basi per dotare Roma metropolitana di una Food Policy – dichiarano i membri del Consiglio del Cibo – Tuttavia, sono mesi che chiediamo di approvare in aula questo provvedimento condiviso, ma le risposte non arrivano più”.
Eppure, la pandemia di Covid-19 ha mostrato come Roma abbia sofferto duramente delle difficoltà di accesso al cibo delle fasce più fragili della sua popolazione. Senza la mobilitazione delle reti della società civile e dei cittadini, che hanno raggiunto con aiuti alimentari, donazioni e sostegno quotidiano le più remote periferie, e senza il ruolo giocato dall’agricoltura di prossimità, che ha decongestionato i supermercati, l’amministrazione si sarebbe trovata in difficoltà molto maggiori.
Per il Consiglio del Cibo serve, oggi più che mai, “una politica del cibo che rafforzi i legami tra campagna e città, fra produzione e consumo, tra cibo e salute, migliorando tutti i canali di accesso al mercato per gli agricoltori del territorio e di accesso a un cibo di prossimità per i consumatori”.
Molte fra le più importanti città del mondo si sono attrezzate con una strategia alimentare, per far fronte a tante necessità: dalla lotta agli sprechi, all’educazione, dal supporto all’agricoltura contadina, al rafforzamento della distribuzione alternativa.
“Roma ha iniziato un cammino per mettersi al pari – spiega il Consiglio del Cibo – ma lo ha interrotto inspiegabilmente. Se c’è l’unità di intenti che abbiamo riscontrato, non vediamo il motivo per perdere altro tempo. Si approvi la delibera subito per dotare il Comune agricolo più grande d’Europa di una Food Policy che oggi serve più di prima”.
Le priorità per un cibo giusto ed ecologico
Con una politica del cibo, l’amministrazione ha l’opportunità di costruire una strategia complessiva che preveda azioni a breve, medio e lungo termine per rendere più sostenibile e resiliente il suo settore agroalimentare. Mentre si avvicina la tornata elettorale, tuttavia, questi temi rischiano di passare in secondo piano. Eppure alcune priorità potrebbero essere affrontate subito. Con questo obiettivo, il Consiglio del Cibo propone 3 punti urgenti per cambiare il sistema alimentare romano.
Garantire l’accesso a un cibo sano e giusto, senza sprechi: è fondamentale potenziare la quota di prodotti locali nella refezione collettiva, aumentare l’educazione alimentare, sostenere con fondi pubblici la filiera della solidarietà e le esperienze di economia solidale come GAS, piattaforme di distribuzione alternativa, mercati contadini. Inoltre, va messa fine agli sprechi alimentari favorendo la redistribuzione delle eccedenze tramite il sostegno diretto al lavoro oggi in carico ad associazioni e volontari.
Migliorare l’accesso alle risorse primarie e fermare il consumo di suolo: mettere a bando le terre pubbliche abbandonate per favorire il ricambio generazionale con l’ingresso nel mercato di giovani agricoltori, fermare la speculazione edilizia con obiettivo di azzerare il consumo di suolo.
Potenziare le filiere corte: l’accesso dei produttori agricoli del territorio ai mercati rionali è minimo: in 127 mercati si trovano a malapena un centinaio di coltivatori diretti. L’amministrazione può fare molto per aiutarli a raggiungere il consumatore invece di vendere ai grossisti per prezzi inferiori.
“In questa giornata mondiale dell’alimentazione – conclude il Consiglio del Cibo di Roma – vogliamo dunque che vengano mantenuti gli impegni, ma anche offrire una prospettiva di lavoro immediata su alcune assi portanti del sistema alimentare dell’area metropolitana. Molte cose si possono fare subito, ma nel frattempo va approvata la delibera sulla Food Policy già in colpevole ritardo”.
Che cos’è il Consiglio del Cibo?
Il Consiglio del cibo di Roma metropolitana è un’alleanza composta da associazioni, aziende agricole, personalità del mondo della ricerca scientifica e dell’Università, nata nel 2019 con l’obiettivo di promuovere l’adozione di una Food Policy per Roma.
I membri del Consiglio sono:
Adesioni di enti, associazioni, organizzazioni, cooperative: Agricoltura Nuova S.C.S.A.I. | Associazione Botteghe del Mondo | Associazione Comitato Parco di Casal del Marmo | Associazione Romana Dottori in Agraria e Forestali | Associazione Terra! | Centro Internazionale Crocevia | Cooperativa Agricola Co.br.ag.or | Cooperativa Agricola Co.r.ag.gio | Cooperativa Sociale Agricola Parsec AgriCultura | Cooperativa Sociale Bene Comune | Cooperativa Sociale Capodarco | Cooperativa Sociale e di Comunità Campagna Sabina | Corso di studi in Scienze gastronomiche Roma Tre | Fairwatch | Fondazione Di Vittorio | Fondazione Ecosistemi | Global Shapers Rome Hub | GustoLab International | IN.N.ER (International Network of EcoRegions) | L’associata | Lands Onlus | Movimento Decrescita Felice Roma | Navdanya International | NeoSustainability | Officina 47 | Reorient Onlus | RES Ciociaria | Rete Italiana Politiche Locali del Cibo | Rete Romana Economia Sociale e Solidale | Risorse per Roma | Roma Salva Cibo – ReFoodGees | Slow Food Roma | Slow Food Youth Network Roma | Terra Nuova | Universitas Mercatorum | Le Zolle srl
Adesioni individuali: Elena Battaglini, Fondazione Di Vittorio | Alessandra Bonfanti, Legambiente | Giovanni Cannata, Univeritas Mercatorum | Aurora Cavallo, Universitas Mercatorum | Daniele Fattibene, Istituto Affari Internazionali / BCFN | Giulia Gallo, studentessa | Francesca Giarè, ricercatrice CREA | Andrea Giorgini, studente | Ancy Kollamparambil, studentessa | Franco La Torre, Risorse per Roma | Giacomo Lepri, agricoltore e antropologo | Lorenza Lirosi, studentessa | Roberta Magherini, Europrogettista freelance | Fridanna Maricchiolo, docente Università Roma Tre | Davide Marino, docente UniMol e Università Roma Tre | Manlio Masucci, Navdanya | Dalia Mattioni, ricercatrice | Giampiero Mazzocchi, ricercatore CREA | Lucilla Persichetti, ASVIS / Gruppo di Lavoro Cibo (SDG 2) | Roberta Sardone, ricercatrice CREA | Daniela Sciarra, attivista e ricercatrice | Roberto Sensi, ActionAid | Federica Sperti, ricercatrice | Ferdinando Suraci, Associazione Comitato Parco di Casal del Marmo | Simona Tarra, ricercatrice | Elena Tioli, giornalista | Marta Antonelli, CMCC, BCFN
Molte metropoli del mondo hanno già avviato delle strategie alimentari (Food Policies) per affrontare il tema del cibo in città, eppure a Roma, Comune agricolo più grande d’Italia, le politiche del cibo sono frammentate e settoriali. Per questo Terra! e Lands Onlus hanno lanciato “Una Food Policy per Roma”, una analisi del sistema alimentare romano e laziale che ha l’obiettivo di evidenziarne criticità e prospettive, lanciando alle istituzioni 10 proposte per avviare una politica del cibo tesa alla sostenibilità, alla tutela dei produttori locali e al diritto a un cibo ecologico e di qualità.
“Una Food Policy per Roma” è anche un percorso partecipato, che Terra! e Lands hanno condiviso con oltre 50 organizzazioni e singoli individui che rappresentano il mondo della ricerca, della produzione e della società civile attivo sui temi dell’agricoltura, del cibo e della solidarietà nella capitale. Questo percorso è confluito in un comitato promotore per la Food Policy di Roma, organismo che ha sposato una serie di proposte chiave da cui partire per spingere le istituzioni a lavorare organicamente sul tema.
Le priorità individuate dal gruppo di lavoro e dal comitato promotore sono:
incrementare l’accesso alle risorse primarie per la produzione agricola, al fine di promuovere la nascita di nuove imprese guidate da giovani agricoltori;
promuovere modelli di agricoltura sostenibile sostenendo la coltivazione biologica e l’agroecologia;
favorire il rientro dei produttori diretti nei mercati rionali, valorizzare le esperienze di filiera corta (farmers’ market, gruppi di acquisto solidale, Community Supported Agriculture) e le reti di economia solidale;
riscrivere le relazioni tra città e campagna su scala metropolitana, favorendo l’approvvigionamento di prossimità utilizzando la leva dell’appalto pubblico a partire dal settore delle mense scolastiche, degli ospedali e delle altre strutture pubbliche sul territorio;
promuovere le specificità territoriali legate al cibo e al territorio, sperimentando sistemi di tracciabilità della filiera e di denominazione comunale o municipale;
prevenire e poi ridurre drasticamente gli sprechi alimentari in tutte le fasi della filiera, favorendo l’accesso al cibo da parte delle fasce sociali più deboli tramite il sostegno alle iniziative di recupero e redistribuzione;
promuovere, in particolare nei contesti urbani e periurbani, tutte le forme di multifunzionalità, sia quelle a maggiore valenza sociale, sia quelle a maggiore valenza economica;
aumentare il livello di consapevolezza dei cittadini rispetto alle questioni del cibo, dell’agricoltura e del territorio attraverso un piano di educazione alimentare e ambientale che parta dalle scuole, dal sistema delle aree protette e dalla rete degli orti urbani;
prevenire il consumo di suolo, e altri fenomeni di degrado della terra;
Misurare i servizi forniti dal sistema agro-silvo-pastorale metropolitano a favore del benessere, favorendo l’integrazione di questi valori nei processi di pianificazione e gestione del territorio.